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Tributo
Dedico questo sito all'amico Alberto Giolitti, sia perché egli è stato un grande artista del fumetto, sia perché è stato maestro di molti di noi disegnatori, e non solo di coloro che hanno fatto parte del famoso “Studio Giolitti” in Roma. Il mio intento è quello di ricordare la sua figura e il suo lavoro a chi lo conosceva, ma anche di farlo conoscere a chi ha letto i suoi fumetti senza sapere erano da lui disegnati, visto che molti di quegli albi non portavano la sua firma.

Coloro che lo conobbero possono mettersi in contatto con me per darmi ulteriori informazioni sul suo lavoro e sulla sua vita, e chi possiede suoi disegni o suoi albi che non compaiono in questo sito possono inviarmi via email le scansioni in buona risoluzione (dei disegni originali oppure di quelli tratti da albi stampati) in modo da consentirmi di completare e migliorare questo sito Internet.

Ho conosciuto Alberto a metà del 1960, quando già stavo disegnando episodi di “Mandrake” e “L'Uomo Mascherato” per la “Fratelli Spada editore”. Egli mi “scoprì” e lo incontrai nel suo studio in via Cutigliano in Roma proponendomi di collaborare con lui. Ricordo benissimo quell'incontro che cambiò la mia vita, conclusosi brindando con un bicchiere di whisky (era la prima volta che lo bevevo, ero molto giovane).
Già da alcuni anni disegnavo fumetti ispirandomi ai disegni del grande Alex Raymond e a quelli di Frank Robbins per motivi diversi: grande ritrattista e abile nel tratteggio il primo, ottima sintesi del chiaroscuro il secondo. In quel periodo, inoltre, mi recavo alle edicole di via Veneto per comprare altri fumetti americani, compreso l'Herald Tribune dove comparivano le strisce a fumetti di John Prentice (Rip Kirby) e di altri disegnatori. Tra gli albi che comperavo ce n'erano alcuni che mi piacevano particolarmente, ma non erano firmati, come, ad esempio, “Turok, son of stone”; questo personaggio in particolare lo seguivo perché era disegnato in un modo “nuovo”: bella stilizzazione dei personaggi e dei paesaggi e grande cura dei dettagli. Immaginatevi la mia sorpresa quando poi scoprii che a disegnare Turok era proprio Alberto Giolitti!
Anche dopo averlo conosciuto, un giorno scovai due fumetti western americani stampati alcuni anni prima, disegnati con uno stile simile a quello di Turok. Erano “Gunsmoke” e un altro intitolato “Have gun, will travel”. Li mostrai ad Alberto: “Ma questi li hai disegnati tu?”, chiesi. “Sì, sono miei – mi rispose – li ho disegnati quando abitavo in America»; e tirò fuori, dal suo armadietto azzurro, molti albi di vario genere tutti disegnati da lui negli anni trascorsi negli USA. Fu in quel momento che capii bene chi avevo veramente davanti.

Oltre a continuare a disegnare per gli Stati Uniti, Alberto aveva dato vita da qualche anno all'agenzia editoriale conosciuta come lo “Studio Giolitti”. Continuava sempre più ad aumentare il numero dei disegnatori, ma anche soggettisti e sceneggiatori, ai quali egli assegnava i vari lavori per l'estero, sempre pronto a dare consigli e suggerimenti professionali, molto utili.
Alberto, quando lo conobbi, produceva per la Germania (Bastei Verlag, Moewig Verlag, Pabel Verlag) i cui contatti venivano portati abilmente avanti dalla segretaria tedesca Christy; invece per l'Inghilterra, la IPC Fleetway, e per gli USA, la Dell Publishing Co. o meglio Western Publishing, i contatti erano tenuti da Joan, la bionda e giocosa moglie di Alberto, e dallo stesso Giolitti. I primi lavori che realizzai per Alberto furono storie di “FBI” (della Moewig Verlag), “Lasso” e “Buffalo Bill” (della Bastei Verlag); dopo qualche anno Alberto mi propose di disegnare per la Fleetway (praticamente era una specie di promozione), e così disegnai storie di guerra per poi passare ai personaggi di sport.
Ma ancor più soddisfazione l'ebbi quando Alberto mi chiamò nel suo studio e mi mostrò alcuni oggetti che gli erano arrivati: c'era la scatola di montaggio di un'astronave, l'Enterprise, e altri oggetti dall'aspetto fantascientifico.
«Angelo, mi devi dare una mano – mi disse – devi montare questo modello…».
«Cos'è?».
«L'astronave di Star Trek. Montala…». Alberto sapeva bene che ero anche un appassionato modellista.
Alberto disegnava già da alcuni anni gli albi di Star Trek, che riproponevano in fumetto i personaggi già famosi in America per via della serie Tv molto apprezzata, iniziata nel 1966. Tuttavia, poiché egli non aveva mai visto una puntata, disegnava quelle storie grazie alle foto di scena, molte, che gli erano state fornite dall'editore. Ora arrivava pure il modellino dell’Enterprise, grazie a Wolfgang Fuchs, uno storico dei fumetti e fan egli stesso, che Alberto aveva già incontrato a Monaco, in Germania; Wolfgang aveva comprato la scatola della Revell e l’aveva spedita a Roma ad Alberto in modo da poterla fotografare da ogni angolazione.
Però Alberto mi disse dell'altro. Aveva bisogno che lo aiutassi anche nel disegnare Star Trek; dovevo fare il disegno a matita e lui poi lo avrebbe ripassato ad inchiostro.
Fotografai il modello dell'Enterprise da tutte le angolazioni, e feci anche di più: dalle foto che Alberto mi aveva dato, realizzai il modello dell'interno della sala comando circolare, in modo da poterla fotografare da ogni angolazione, là dove si poteva svolgere l'azione che dovevo disegnare.
In seguito Alberto mi chiese di fare anche le matite di Turok.

Per quanto riguarda Turok, avrete notato che nell'albo n. 31 le vignette non sono incorniciate dal filetto nero ma solo dal colore. Gli chiesi perché avesse deciso di fare così. Mi rispose che, poiché egli riquadrava le vignette col nero alla fine di tutto il lavoro, in quell'occasione dimenticò di farlo e spedì i disegni incompleti negli USA. Dovete sapere che quando si disegnava a matita, le vignette erano già riquadrate con un filetto azzurro tipografico, ma, poiché in stampa l'azzurro spariva, occorreva ripassare in nero anche quei filetti. L'utilizzo del colore azzurro consentiva, anche, di abbozzare con una matita azzurra i balloon del testo senza che quel segno comparisse in stampa, ma solo i tratti ripassati in nero dal calligrafo. In questo modo si potevano anche schizzare note, frecce indicative, o altro: tutto spariva in stampa.
Quando quel lavoro incompleto di Alberto arrivò negli Usa, all'editore la mancanza del riquadro nero piacque e pensò che fosse una trovata di Alberto. Fu stampato così e la cosa fu ripetuta, ma volontariamente, nel numero 32.
Poi, nel dubbio che piacesse, o no, al lettore, gli albi seguenti tornarono ad avere i riquadri neri. Ma poiché l'esperimento ai lettori era invece piaciuto, fu deciso, dal n. 41 in poi, di lasciare scontornate le vignette di Turok.
E non solo Turok. Ad esempio, si fece così anche per Star Trek, per l'albo “King Kong” e per altri a seguire.

Com'era abitudine della maggior parte dei disegnatori americani, Alberto soleva preparare una storia in questo modo: disegnava prima gli schizzi di ogni pagina, in modo da decidere anticipatamente l'inquadratura di ogni singola vignetta (se primo piano, campo lungo, il punto di vista dei personaggi, ecc.), poi faceva le fotografie a se stesso e ad amici, abbigliati come la storia richiedeva, in posa e illuminati secondo gli schizzi precedentemente preparati. Quelle foto servivano da guida per ricavare poi i disegni finali. Per quanto riguarda i fondali e gli oggetti disegnati nei fumetti, Alberto disponeva di un archivio invidiabile che si era portato dagli Usa: fotografie, libri, riviste e ritagli di vario tipo che aveva accumulato nel corso degli anni, ma anche modelli di armi e oggetti veri, compresa una bellissima sella western.
Questo modo di lavorare, evidenziato magnificamente nel film con Jack Lemmon “Come uccidere vostra moglie” (How to murder your wife, 1965), nel quale il grande attore personificava un disegnatore di fumetti, contagiò molti di noi, me compreso, che lo adottammo in toto. E poi era anche divertente lavorare così: ci sentivamo un po' attori, prima di disegnatori.
Ad esempio, il personaggio di Turok lo faceva Alberto, ma indovinate chi posava per il giovane Andar?: il figlio giovanetto; e per le varie donne che apparivano nella storia?: la moglie Joan; mentre gli altri personaggi toccavano agli amici, me compreso.

Comunque, realizzare le matite di Star Trek e Turok mi dette l'opportunità di conoscere meglio Alberto e di stringere con lui una splendida amicizia. Cominciai a frequentarlo anche nella sua casa all'Eur, dove ci abitava con la moglie Joan e i due figli, ed anche successivamente in quella a Santa Marinella, località balneare nei pressi di Roma, quando ci andò ad abitare con Nicole, una gentile donna francese che sposò dopo che Joan era morta.
Fu, la nostra, un'amicizia che durò e si consolidò nel tempo, che mi dette anche la possibilità di fare qualche viaggio con lui ed anche numerose gite in barca (amava la vela). Ed anche dopo che io mi trasferii a Taranto, dove mi sposai, tornai spesso a Roma a trovarlo con mia moglie (continuavo a lavorare per lo Studio Giolitti), ospitati nella sua casa.

Fu uno shock tremendo, la sua morte, giunta in breve tempo, improvvisamente… ed anche prematura.
Grazie, Alberto, della tua amicizia e di quello che mi hai dato ed insegnato.

Angelo R. Todaro